Pascoli, Italy

G. PASCOLI,  ITALY
A Caprona, una sera di febbraio, 1
gente veniva, ed era già per l’erta,
veniva su da Cincinnati, Ohio.
La strada, con quel tempo, era deserta.
Pioveva, prima adagio, ora a dirotto, 5
tamburellando su l’ombrella aperta.
La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto
erano, sotto la cerata ombrella
del padre: una ragazza, un giovinotto.
E c’era anche una bimba malatella, 10
in collo a Beppe, e di su la sua spalla
mesceva giù le bionde lunghe anella.
Figlia d’un altro figlio, era una talla
del ceppo vecchio nata là: Maria:
d’ott’anni: aveva il peso d’una galla. 15
Ai ritornanti per la lunga via,
già vicini all’antico focolare,
la lor chiesa sonò l’Avemaria.
Erano stanchi! Avean passato il mare!
Appena appena tra la pioggia e il vento 20
l’udiron essi or sì or no sonare.
Maria cullata dall’andar su lento
sembrava quasi abbandonarsi al sonno,
sotto l’ombrella. Fradicio e contento
veniva piano dietro tutti il nonno. 25
IV
Italy, penso, se la prese a male.  
Maria, la notte (era la Candelora),
sentì dei tonfi come per le scale...
tre quattro carri rotolarono... Ora
vedea, la bimba, ciò che n’era scorso!           80
the snow! La neve, a cui splendea l’aurora.
Un gran lenzuolo ricopriva il torso
dell’Omo-morto. Nel silenzio intorno
parea che singhiozzasse il Rio dell’Orso.
Parea che un carro, allo sbianchir del giorno 85
ridiscendesse l’erta con un lazzo
cigolìo. Non un carro, era uno storno,
uno stornello in cima del Palazzo
abbandonato, che credea che fosse
marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo! 90
Maria guardava. Due rosette rosse
aveva, aveva lagrime lontane
negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse.
La nonna intanto ripetea: "Stamane
fa freddo!" Un bianco borracciol consunto        95
mettea sul desco ed affettava il pane.
Pane di casa e latte appena munto.
Dicea: "Bimbina, state al fuoco: nieva!
Nieva!" E qui Beppe soggiungea compunto:
"Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva!"     100
V
Oh! No: non c’era lì né pieflavour
né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
"Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?"
Oh! No: starebbe in Italy sin tanto
ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly!       105
E Ioe godrebbe questo po’ di scianto.
Mugliava il vento che scendea dai colli
bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta
fissò la fiamma con gli occhioni molli.
Venne, sapendo della lor venuta,                            110
gente, e qualcosa rispondeva a tutti
Ioe, grave: "Oh yes, è fiero... vi saluta...
molti bisini, oh yes... No, tiene un frutti-
stendo... Oh yes, vende checche, candi, scrima...
Conta moneta! Può campar coi frutti...                    115
Il baschetto non rende come prima...
Yes, un salone, che ci ha tanti bordi...
Yes, l’ho rivisto nel pigliar la stima..."
Il tramontano discendea con sordi
brontoli. Ognuno si godeva i cari                           120
ricordi, cari ma perché ricordi:
quando sbarcati dagli ignoti mari
scorrean le terre ignote con un grido
straniero in bocca, a guadagnar danari
per farsi un campo, per rifarsi un nido...                125
VII
Sweet... Sweet... Ho inteso quel lor dolce grido
dalle tue labbra... Sweet, uscendo fuori                   65
e sweet sweet sweet, nel ritornare al nido.
Palpiti a volo limpidi e sonori,
gorgheggi a fermo teneri e soavi,
battere d’ali e battere di cuori!
In questa casa che tu bad chiamavi,                          70
black, nera, sì, dal tempo e dal lavoro,
son le lor case, là, sotto le travi,
di mota sì, ma così sweet per loro!
XIII
Cielo, e non altro, cielo alto e profondo,
cielo deserto. O patria delle stelle!                              125
O sola patria agli orfani del mondo!
Vanno serrando i denti e le mascelle,
serrando dentro il cuore una minaccia
ribelle, e un pianto forse più ribelle.
Offrono cheap la roba, cheap le braccia,                    130
indifferenti al tacito diniego;
e cheap la vita, e tutto cheap; e in faccia
no, dietro mormorare odono: Dego!
  XX
Sweet sweet... era un sussurro senza fine
nel cielo azzurro. Rosea, bionda, e mesta,                 220
Molly era in mezzo ai bimbi e alle bambine.
Il nonno, solo, in là volgea la testa
bianca. Sonava intorno mezzodì.
Chiedeano i bimbi con vocìo di festa:
"Tornerai, Molly?" Rispondeva: – Sì! –                         225


 Nel 1904, traendo spunto da un episodio veramente accaduto nella famiglia di un piccolo agricoltore suo amico, Pascoli scrisse questo lungo poemetto (450 versi divisi in due canti, di terzine dantesche organizzate in strofe), che ha per sottotitolo Sacro all’Italia raminga, e dunque chiama in causa immediatamente il fenomeno dell’emigrazione, guardato con sgomento come perdita d’identità e fattore di estraneità reciproca fra chi è partito e i parenti rimasti in patria a conservare arcaiche abitudini di vita: tale estraneità è fittamente rappresentata nella prima parte del testo dall’incomprensione linguistica fra gli "americanizzati" che hanno quasi disimparato l’italiano e la famiglia in Lucchesia, che non conosce l’inglese. Inoltre, a complicare ulteriormente la trama dei piani linguistici, polarizzata sulla distanza fra italiano e inglese, intervengono da un lato i termini e i modi di dire dialettali e dall’altro le battute nel linguaggio misto italo-americano.
Protagoniste della poesia sono la piccola Maria-Molly, malata di tisi, riportata in Italia dal lontano Ohio per trovare aria buona e cure, e la nonna, che le si affeziona fino a morire, simbolicamente, in sua vece: il progressivo avvicinamento sentimentale fra le due, non intaccato dalle difficoltà di comunicazione, culmina alla fine del primo canto in una forma di comprensione superiore, intuitiva, in una sorta di reintegrazione reciproca.
Nel secondo canto, dopo che il lungo tempo piovoso ha ceduto a una primavera splendente e al ritorno delle rondini (intimamente assimilate a Molly), si annuncia la tosse fatale della nonna; a questo punto la narrazione subisce una battuta d’arresto, e lascia spazio a un inserto affidato alla voce del poeta, dai toni ora sgomenti, ora vaticinanti e visionari, in cui i mali dell’emigrazione sono introdotti attraverso l’equazione fra l’immagine della madre che vuole tutti i suoi figli nel nido e quella della patria ("antica madre") che deve fare altrettanto: così l’Italia richiamerà tutte le sue genti dalle terre lontane dove lavorano in schiavitù, dalle miniere, dai ponti delle navi, "in una sfolgorante alba che viene" (II, 180). Questa presa di posizione ben s’inquadra nelle convinzioni politico-sociali di Pascoli in quegli anni, riassumibili nella teoria del "socialismo patriottico" e influenzate fortemente dall’acceso nazionalismo di Enrico Corradini: Pascoli, che dichiarava di sentirsi "profondamente socialista, ma socialista dell’umanità, non d’una classe", sposta sostanzialmente i termini dell’analisi marxista dai rapporti di forza fra le classi sociali alla lotta fra le nazioni. E poiché l’Italia è il proletario tra i popoli, la nazione povera che ha fatto sempre arricchire gli altri (il nido da cui le rondini si allontanano perché "non c’è più cibo", II, 80), non le si disdice un riscatto attraverso le conquiste coloniali, che renda finalmente giustizia al "popolo più faticante e industrioso e parco del mondo" e metta fine alle miserie dell’emigrazione.
Scrive Giuseppe Nava nel suo commento a Italy che il socialismo patriottico "rappresenta un tentativo di rimozione delle paure piccolo-borghesi d’uno sconvolgimento radicale della società e insieme una risposta all’esigenza della piccola borghesia intellettuale di tornare a ricoprire un ruolo dirigente, negatole dallo sviluppo del capitalismo. Non a caso l’emigrazione è sentita dal Pascoli anche e soprattutto dal punto di vista linguistico, come perdita della lingua materna" (Nava 1971, 134): ma la possibile conciliazione fra l’ottica dell’antica civiltà contadina e quella della moderna civiltà industriale è affidata, nel poemetto, proprio alla funzione unificante dello scrittore, capace di assumere entrambi i punti di vista, nell’utopia di una nazione industrializzata ma al tempo stesso articolata in una comunità di piccoli produttori.
Nei confronti dell’imbastardimento linguistico degli emigranti Italy mostra una sorta di attrazione-repulsione, con punte di sperimentalismo ardito, che si espongono soprattutto in sede di rima, fin dall’inizio del canto primo (febbraio : Ohio), con un compiacimento abbastanza trasparente (si veda la Nota a "Italy" che l’autore ha posposto al testo per agevolare la comprensione del "povero inglese" dei suoi personaggi).
nota a "italy"
Il lettore non ha certo bisogno dei miei lumi per leggere e interpretare il povero inglese de’ miei personaggi. Gioverà tuttavia ricordare la pronuncia netta in a o aa che hanno, nella bocca dei nostri reduci di Mèrica, le parole come flavour (pr. fléva), never (pr. néva), steamer (pr. stima) e simili. Il grido dei figurinai, Buy images (= comprate figure) suona, in bocca loro, bai imigìs. E cheap (pr. cip) vale: a buon mercato. Molte parole inglesi sono da loro accomodate a italiane: bisini (per business) = affari; fruttistendo (per fruitstand) = bottega di fruttaiolo; checche (per cakes) = paste, pasticci; candi (da candy) = canditi; scrima (per ice-cream) = gelato di crema; baschetto (per basquet) = paniere da metterci le figure; salone (per saloon) = trattoria, bettola; bordi (da board) = pensioni, abbonati; stima (per steamer) = piroscafo; ticchetta (per ticket) = biglietto; cianza (per chance) = sorte, occasione. Barco dicono per bastimento.
Molly è vezzeggiativo casereccio per Mary o Maria; doll significa bambola, ed è anche vezzeggiativo di Dorothy.
Sweet (pr. suìt) vale dolce, ed è, per dir così, consacrato a home. Casa mia! Casa mia!
Brutta parola, dopo queste così dolci, è dego, così pronunciata. Deriva, mi pare, da dagger = pugnale.
Quanto alle rime con Italy, mi difenda, se accade, Shelley che rima, per esempio, she con poesy e die con purity (The Witch of Atlas; 26, 36).
_________________________
Aggiungiamo a questa nota linguistica di Pascoli qualche cenno sui termini dialettali che compaiono in Italy:
talla ‘ramo che si trapianta’ appartiene al lessico agricolo toscano;
accallato ‘socchiuso, accostato’ è del lucchese e del contado di Pistoia;
rosume ‘resti del fieno’ è lucchese, ma ha tradizione letteraria;
canapugli ‘fusti della canapa spogliati delle fibre’ è voce toscana;
pennelletto ‘grembiule’ è lucchese;
fiero ‘in buona salute, in gamba’ è accezione lucchese;
banco ‘armadio per la biancheria’ è voce lucchese;
sito ‘odore di stantìo, di muffa’ è voce toscana;
borracciol ‘piccolo telo, tovagliolo’: è diminutivo di borraccio, voce emiliana in uso anche nella Garfagnana;
nieva ‘nevica’ è forma lucchese;
scianto ‘spasso e riposo dopo il lavoro’ è lucchese;
fifa ‘pavoncella’ è lucchese.
Riguardo alle parole italo-americane, va precisato che baschetto (il canestro tradizionale dei figurinai lucchesi che vendevano statuine di gesso) è adattamento di basket e non di basquet come è detto nella Nota. L’etimo di dego non è quello proposto da Pascoli: si tratta più probabilmente di una deformazione di Diego, nome proprio molto diffuso in Spagna. Per estensione, il termine indica in generale i maschi latini; ha una forte connotazione negativa.
















Nessun commento: