ALBERTO CASADEI, LA
RIVOLUZIONE DI UNGARETTI
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Giuseppe
Ungaretti, Veglia, in L’allegria (1919 e 1942)
Quella che abbiamo letta è una delle poesie più intense della raccolta più importante
del primo Novecento italiano, L’allegria di Giuseppe Ungaretti. Si colgono qui tutti i
suoi tratti considerati più tipici: la metrica e la sintassi frantumate, con versi formati a
volte da una sola parola e comunque brevissimi; la densità delle immagini, che partono
da un referente terribile (l’esperienza della trincea durante la Prima guerra mondiale) e
vogliono proporne un equivalente; l’eversione rispetto a tutti i canoni della poesia
italiana, messa in discussione da molti autori (come Gozzano e Campana) all’inizi
o del XX secolo ma ancora in qualche misura salda nei suoi presupposti linguistico
-stilistici. In Veglia per esempio colpisce la semplicità dei mezzi impiegati per imprimere
un ritmo al discorso poetico: aggettivi o partecipi passati (buttato… massacrato…
digrignata… penetrata) scandiscono la prima parte del componimento, che
delinea la condizione di orrore, dovuta alla necessità di rimanere accanto al cadavere
deformato di un compagno; raggiunto questo acme negativo, Ungaretti introduce due
semplici frasi, quasi due note di diario (ho scritto… non sono mai stato…), che
comunicano il disperato bisogno dell’io-lirico di riappropriarsi della positività del vivere,
proprio là dove sembra esistere soltanto il male assoluto. Dunque, una semplicità che
coincide con l’intensità, fatto raro nella poesia italiana. Ma da quali presupposti
culturali nasceva un’opera così rivoluzionaria rispetto alla tradizione più consolidata della
nostra lirica?
Di origini lucchesi, Ungaretti nacque (1888) e visse a lungo ad Alessandria d’Egitto, e poi
studiò a Parigi tra il 1912 e il ’14, entrando in contatto con alcuni esponenti delle avanguardie,
e in particolare con Guillaume Apollinaire, uno dei più importanti poeti francesi di questa
fase così creativa e innovativa. Nella sua formazione vengono a interagire interessi letterari
(dal tardo simbolismo al futurismo) ma anche politici, che, dopo una fase anarchica,
sfociarono nella sua partecipazione alla I guerra mondiale: esperienza traumatica e
definitiva spinta alla scrittura poetica, che portò a un folgorante inizio con Il porto sepolto,
uscito a Udine in soli 80 esemplari mentre l’autore era ancora al fronte. Dopo
questa uscita, Ungaretti cercò di rafforzare i suoi rapporti con gli ambienti letterari
di maggior prestigio, a cominciare da quello fiorentino: proprio a Firenze, da Vallecchi,
uscì nel 1919 un’edizione ampliata della prima raccolta, col titolo Allegria di naufragi
, che poi venne sottoposta a notevoli correzioni nel 1931, assumendo il titolo definitivo
L’allegria, e ancora nel 1942, secondo una prassi tipica di questo autore.
Le forti novità della versificazione ungarettiana sono evidenti già dal Porto sepolto.
In primo luogo, alla poesia viene riassegnata un’alta funzione, di ascendenza
chiaramente simbolista, e comunque lontana tanto dall’ironia o malinconia crepuscolare,
quanto dall’oltranzismo vitalistico futurista (benché componenti futuriste agiscano in
parte su Ungaretti). Lo stesso porto, che allude a quello antico di Alessandria d’Egitto,
inghiottito dal mare, appare sin dalla poesia eponima un luogo orfico, dove “arriva il
poeta / e poi torna alla luce con i suoi canti / e li disperde”: ciò che resta è un
“nulla / d’inesauribile segreto”, e proprio grazie a questa apparente contraddizione
(fra la nullità e l’inesaurabilità del segreto da rivelare) brilla la magia della parola
lirica, capace di sublimare persino il niente dell’esistenza del singolo. Un niente che
si sostanzia nelle poesie scaturite dal dramma dell’autore, soldato di trincea per
il quale “la morte / si sconta / vivendo” (Sono una creatura), che si trova in mezzo
ai cadaveri dei compagni caduti, a cui ormai la vita “pare / una corolla / di tenebre”
(I fiumi). Insomma, la ricerca di un “inesauribile segreto” parte dall’ansia di
giustificare un terribile trauma personale, che porta ripetutamente l’io-poeta a
chiedersi quale sia il suo rapporto con Dio o quale può essere il luogo in grado di
ridonare una pace effettiva al corpo e allo spirito. In questa prospettiva, la poesia
può apparire, secondo il testo conclusivo della prima raccolta ungarettiana
(dal titolo programmatico Poesia), “la limpida meraviglia / di un delirante fermento”,
e la singola parola “scavata / è nella mia [del poeta] vita / come un abisso”. Ecco
riaffermato, implicitamente, il valore simbolico e insieme salvifico della parola poetica:
ed ecco perché molto spesso la versificazione del primo Ungaretti fa coincidere
un singolo vocabolo con un verso, e comunque la frantumazione della sintassi e
della metrica tradizionale, ridotta a ‘versicoli’ (benché a volte ricomponibili in
versi canonici), mira innanzitutto a ridonare una forte autonomia agli aspetti
fonico-semantici.
La
compattezza del Porto sepolto viene in parte persa con Allegria di naufragi,
raccolta
nella quale confluiscono numerosi nuovi testi, mentre quasi tutti quelli già editi
subiscono rimaneggiamenti. In questa nuova raccolta, molto più letta e fondamentale
per la successiva fortuna dell’autore, Ungaretti accentua l’uso dell’analogia e delle
metafore ardite, eliminando molti elementi troppo cronachistici del Porto e lasciando
spesso le parole isolate; la sintassi viene semplificata al massimo, in modo che di
frequente le poesie risultano costituite da una serie di frasi, spezzate in micro-versi
e senza punteggiatura o quasi. Sebbene l’antecedente di questi procedimenti possa
essere rintracciato nelle teorie futuriste (ma non bisogna dimenticare Mallarmé e
Apollinaire, e persino poeti oggi meno noti come Maurice de Guerin), il risultato
appare diverso, non essendo lo scardinamento beffardo dell’istituzione letteraria
lo scopo di questa eversione, bensì quello di ridare un senso forte all’esperienza
di un singolo, poeta-soldato sofferente, ma anche poeta-evocatore e creatore di
immagini dalla metaforicità ardita e sublime. Va notato che i procedimenti stilistici
sono scelti da Ungaretti in rapporto alle potenzialità linguistiche: nelle sue liriche
in francese, coeve a quelle italiane e a volte autotraduzioni (Derniers jours, 1919),
alcuni testi sono ridotti a una semplice frase in prosa lirica (Militaires: “nous sommes
tels qu’en automne sur l’arbre la feuille”, corrispondente alla celebre Soldati:
“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”), e risultano più importanti la
disposizione grafica e l’uso degli spazi bianchi.
nella quale confluiscono numerosi nuovi testi, mentre quasi tutti quelli già editi
subiscono rimaneggiamenti. In questa nuova raccolta, molto più letta e fondamentale
per la successiva fortuna dell’autore, Ungaretti accentua l’uso dell’analogia e delle
metafore ardite, eliminando molti elementi troppo cronachistici del Porto e lasciando
spesso le parole isolate; la sintassi viene semplificata al massimo, in modo che di
frequente le poesie risultano costituite da una serie di frasi, spezzate in micro-versi
e senza punteggiatura o quasi. Sebbene l’antecedente di questi procedimenti possa
essere rintracciato nelle teorie futuriste (ma non bisogna dimenticare Mallarmé e
Apollinaire, e persino poeti oggi meno noti come Maurice de Guerin), il risultato
appare diverso, non essendo lo scardinamento beffardo dell’istituzione letteraria
lo scopo di questa eversione, bensì quello di ridare un senso forte all’esperienza
di un singolo, poeta-soldato sofferente, ma anche poeta-evocatore e creatore di
immagini dalla metaforicità ardita e sublime. Va notato che i procedimenti stilistici
sono scelti da Ungaretti in rapporto alle potenzialità linguistiche: nelle sue liriche
in francese, coeve a quelle italiane e a volte autotraduzioni (Derniers jours, 1919),
alcuni testi sono ridotti a una semplice frase in prosa lirica (Militaires: “nous sommes
tels qu’en automne sur l’arbre la feuille”, corrispondente alla celebre Soldati:
“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”), e risultano più importanti la
disposizione grafica e l’uso degli spazi bianchi.
Nelle
versioni successive dell’Allegria (1931 e 1942), Ungaretti tenderà a ridurre
gli
oltranzismi e a riportare molti versi a una scansione più piana. Si tratta di
un segnale sintomatico: il poeta ha compiuto una parabola esistenziale che l’ha
portato non solo ad aderire al Fascismo e poi al cattolicesimo, ma anche
a riscoprire l’importanza della tradizione letteraria italiana ed europea. Già nella
seconda raccolta, Sentimento del tempo (1933, poi riveduta nel 1936 e nel 1943),
il gusto per l’analogia tende a farsi più manierato, ricco di risonanze raffinate che
derivano per esempio da un’attenta lettura di Petrarca e di Leopardi, mentre si
attenuano i riferimenti all’esistenza vissuta. La poesia assume un valore sublime
in sé, e tende a creare miti (come in uno dei testi più famosi della raccolta, L’isola)
e metafore preziose, al limite del barocco. Anche la metrica viene ricondotta a misure
consuete (in prevalenza endecasillabi e settenari), mentre il lessico risulta depurato
e squisito. Insomma, il Sentimento appare come la prosecuzione di alcune linee
di forza già attive nell’Allegria (specie nel ’16-’19), ma non può nascondere la
perdita della dimensione esistenziale-tragica, nonché di quella più genuinamente
sperimentale. Ciò non toglie che, nell’immediato, la seconda raccolta ottenne
un notevole successo e costituì un punto di riferimento, specie per i poeti ‘ermetici
’. Nelle opere successive, Ungaretti mantiene ormai un tono in genere retoricamente
elevato, sebbene tornino a volte in primo piano i drammi personali, come la morte
del figlio Antonietto, che costituisce uno dei temi fondamentali de Il dolore (1947).
Le raccolte seguenti (La terra promessa, 1950; Un grido e paesaggi, 1952;
Taccuino del vecchio, 1960 e altre molto scarne) sono state in genere considerate
minori (benché non manchino alcuni testi intensi), ma vengono a formare, con le
prime, un intero canzoniere, dal titolo - voluto dall’autore - Vita d’un uomo (1969;
Ungaretti muore l’anno successivo a Milano). Alle poesie si affiancano, in un altro
volume, numerosi appunti, saggi e interpretazioni critiche (per esempio di Leopardi)
, mentre una menzione a parte meritano le traduzioni (notevoli soprattutto quelle
dal poeta barocco spagnolo Góngora): Ungaretti fu in effetti un intellettuale
cosmopolita, e dall’Egitto dell’infanzia passò alla Francia e al Belgio della sua
formazione, al Brasile, dove soggiornò a lungo fra gli anni Trenta e Quaranta,
insegnando letteratura italiana all’Università di San Paolo. Attualmente viene
di nuovo sottolineata da molti critici l’importanza di Ungaretti e in particolare
della sua prima raccolta, benché la sua carica eversiva sia stata smorzata da
una lunga fase di imitazioni sin troppo facili dei suoi versi brevi.
oltranzismi e a riportare molti versi a una scansione più piana. Si tratta di
un segnale sintomatico: il poeta ha compiuto una parabola esistenziale che l’ha
portato non solo ad aderire al Fascismo e poi al cattolicesimo, ma anche
a riscoprire l’importanza della tradizione letteraria italiana ed europea. Già nella
seconda raccolta, Sentimento del tempo (1933, poi riveduta nel 1936 e nel 1943),
il gusto per l’analogia tende a farsi più manierato, ricco di risonanze raffinate che
derivano per esempio da un’attenta lettura di Petrarca e di Leopardi, mentre si
attenuano i riferimenti all’esistenza vissuta. La poesia assume un valore sublime
in sé, e tende a creare miti (come in uno dei testi più famosi della raccolta, L’isola)
e metafore preziose, al limite del barocco. Anche la metrica viene ricondotta a misure
consuete (in prevalenza endecasillabi e settenari), mentre il lessico risulta depurato
e squisito. Insomma, il Sentimento appare come la prosecuzione di alcune linee
di forza già attive nell’Allegria (specie nel ’16-’19), ma non può nascondere la
perdita della dimensione esistenziale-tragica, nonché di quella più genuinamente
sperimentale. Ciò non toglie che, nell’immediato, la seconda raccolta ottenne
un notevole successo e costituì un punto di riferimento, specie per i poeti ‘ermetici
’. Nelle opere successive, Ungaretti mantiene ormai un tono in genere retoricamente
elevato, sebbene tornino a volte in primo piano i drammi personali, come la morte
del figlio Antonietto, che costituisce uno dei temi fondamentali de Il dolore (1947).
Le raccolte seguenti (La terra promessa, 1950; Un grido e paesaggi, 1952;
Taccuino del vecchio, 1960 e altre molto scarne) sono state in genere considerate
minori (benché non manchino alcuni testi intensi), ma vengono a formare, con le
prime, un intero canzoniere, dal titolo - voluto dall’autore - Vita d’un uomo (1969;
Ungaretti muore l’anno successivo a Milano). Alle poesie si affiancano, in un altro
volume, numerosi appunti, saggi e interpretazioni critiche (per esempio di Leopardi)
, mentre una menzione a parte meritano le traduzioni (notevoli soprattutto quelle
dal poeta barocco spagnolo Góngora): Ungaretti fu in effetti un intellettuale
cosmopolita, e dall’Egitto dell’infanzia passò alla Francia e al Belgio della sua
formazione, al Brasile, dove soggiornò a lungo fra gli anni Trenta e Quaranta,
insegnando letteratura italiana all’Università di San Paolo. Attualmente viene
di nuovo sottolineata da molti critici l’importanza di Ungaretti e in particolare
della sua prima raccolta, benché la sua carica eversiva sia stata smorzata da
una lunga fase di imitazioni sin troppo facili dei suoi versi brevi.
Bibliografia
essenziale
La
principale edizione delle poesie di Ungaretti è Vita d’un uomo, pubblicata da
Mondadori a cura di Leone Piccioni in varie collane (l’ultima ristampa è uscita
nel 2003). Presso lo stesso editore sono stati raccolti anche i saggi e le
lezioni universitarie. Molto importanti, dato l’alto numero di correzioni d’autore,
le edizioni critiche, come quella dell’Allegria a cura di Cristina Maggi Romano
(Milano, Fondazione Mondadori, 1982). Un valido commento al Porto sepolto è
stato approntato da Carlo Ossola (da ultimo, Venezia, Marsilio, 2001).
Fra i saggi e gli studi ormai classici su Ungaretti vanno ricordati quelli degli anni Trenta e Quaranta di Giuseppe De Robertis, Carlo Bo e Gianfranco Contini; più di recente, un volume d’insieme è stato scritto da Carlo Ossola (Milano, Mursia, 1975). Per tutte le informazioni bibliografiche di base si può ricorrere a Giorgio Luti, Invito alla lettura di G. Ungaretti (Milano, Mursia, 1991), oppure alla monografia (con videocassetta acclusa) curata da Andrea Cortellessa per Einaudi nel 2000. Per approfondimenti: G. Guglielmi, Interpretazione di Ungaretti, Il Mulino, Bologna 1989; O. Macrì, La vita della parola. Studi su Ungaretti e poeti coevi, Bulzoni, Roma 1998; R. Gennaro, Le patrie della poesia, Firenze, Cadmo, 2004; AA. VV., G. Ungaretti: identità e metamorfosi, Lucca, Pacini Fazzi, 2005. Per un inquadramento d’insieme, si veda A. Casadei, Il Novecento, Bologna, Il Mulino, 2005.
Fra i saggi e gli studi ormai classici su Ungaretti vanno ricordati quelli degli anni Trenta e Quaranta di Giuseppe De Robertis, Carlo Bo e Gianfranco Contini; più di recente, un volume d’insieme è stato scritto da Carlo Ossola (Milano, Mursia, 1975). Per tutte le informazioni bibliografiche di base si può ricorrere a Giorgio Luti, Invito alla lettura di G. Ungaretti (Milano, Mursia, 1991), oppure alla monografia (con videocassetta acclusa) curata da Andrea Cortellessa per Einaudi nel 2000. Per approfondimenti: G. Guglielmi, Interpretazione di Ungaretti, Il Mulino, Bologna 1989; O. Macrì, La vita della parola. Studi su Ungaretti e poeti coevi, Bulzoni, Roma 1998; R. Gennaro, Le patrie della poesia, Firenze, Cadmo, 2004; AA. VV., G. Ungaretti: identità e metamorfosi, Lucca, Pacini Fazzi, 2005. Per un inquadramento d’insieme, si veda A. Casadei, Il Novecento, Bologna, Il Mulino, 2005.
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