28/10/20

Il romanzo storico? Elsa Morante e LA STORIA

Risultati immagini per foto morante elsa
https://www.raicultura.it/webdoc/elsa-morante/index.html#welcome

 LE STANZE DI ELSA 
(bibliografia, biografia e approfondimenti alla bibioteca Nazionale di Roma)

La stanza di Elsa  (ricostruzione del suo studio alla BNR. E' visitabile!)



Biografia della scrittrice (Questo articolo è basato su Elsa Morante, Opere, a cura di Carlo Cecchi e Cesare Garboli, Milano, Mondadori, 2 voll., 1988-1990)


E’ curioso il gioco dei nomi nella vita di Elsa Morante.
Nata a Roma da Irma Poggibonsi e Francesco Lo Monaco, suoi genitori naturali, ebbe come padre legittimo Augusto Morante, marito della madre. Il suo cognome perciò, dal suono particolarmente eufonico, è un obbligo d’anagrafe, ma anche una sorta di pseudonimo legale, un ‘doppio’ di nascita. Segno, questo, che si sposa benissimo con la natura immaginifica e segreta di Elsa.
Nella sua creazione letteraria, d’altra parte, il mondo della fiaba è quello che le è più congeniale. Costituisce un percorso che evolve lungo tutta la durata della sua vita, dagli inizi precoci dei raccontini infantili, alle prime prove più impegnative pubblicate in rivista e in libro, ai risultati maggiori del periodo dopo la seconda guerra mondiale.
Il fantastico è sempre presente, è il serbatoio da cui lei prende ispirazione, associazioni e perfino linguaggio : “Accade nei romanzi come nei sogni: una magica trasposizione della nostra vita, forse ancora più significativa della vita stessa perchè arricchita della forza dell’immaginazione”.
Elsa nacque con il gusto della scrittura : “La mia intenzione di fare la scrittrice è nata, si può dire, insieme a me”. Autodidatta, senza scuole elementari, a sei anni componeva storie e poesie piene di illustrazioni a colori. Un suo quaderno è titolato : Elsa Morante. Il mio primo libro. Narra la storia di una bambina.
La scuola fu limitata a ginnasio e liceo, sempre continuando la sua attività di scrittrice per bambini, con produzioni che pubblicava su vari giornali. La pagavano regolarmente, come racconta lei stessa, con una punta non di venalità, ma di soddisfazione.
A diciotto anni, finiti gli studi, uscì dalla famiglia, ansiosa di una vita sua. Si manteneva dando lezioni di latino e scrivendo tesi di laurea.
Per due anni almeno la letteratura venne dimenticata, non perduta però. Fu una parentesi, una intermittenza, perchè già subito dopo, nei primi anni Trenta, aveva conosciuto Giacomo Debenedetti, cominciato a scrivere per il ‘Meridiano di Roma’, poi intrapresi i racconti che diventarono Il gioco segreto.

Nel 1936 si legò a Moravia, vivendo con lui una relazione amorosa contraddittoria, alternata tra desiderio e rifiuto, separazioni e riprese. Si sposarono nel 1941. Si sarebbero separati nel 1962, ma non divorziarono mai.
Elsa, in quegli anni, scriveva su ‘Oggi’, settimanale diretto da Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti.
Nel 1942 Elsa Morante iniziò il rapporto con Einaudi. L’editore torinese stampava Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina, edizione del settembre 1942, in 4°, illustrata in copertina e nel testo dai disegni dell’autrice. I racconti erano d’epoca ginnasiale, un ‘romanzo/fiaba’ lo definì  Elsa. L’edizione si esaurì subito e divenne quasi introvabile.
E’ stato ampiamente dimostrato che l’opera della Morante può suddividersi in due epoche, non uniformi nè di pari importanza : la prima è quella dei racconti, nasce dall’infanzia, comprende la giovinezza, arriva ai due libri Il gioco segreto e Le bellissime avventure; la seconda è quella dei grandi romanzi.
In mezzo ci fu la guerra: la guerra significò l’abbandono di Roma. Dapprima Elsa riparò, assieme a Moravia, a Sant’Agata, paesino in Ciociaria,  poi a Napoli fino all’estate del ‘44.
Da due anni aveva cominciato a scrivere Menzogna e sortilegio : “Il libro che rimane per me il più notevole che io ho scritto : tale che forse non potrò mai scriverne un altro dello stesso valore”.
La gestazione durò oltre quattro anni. Nell’inverno 1948 la Morante mandò il libro in visione a Natalia Ginzburg all’Einaudi. La Ginzburg lesse, Pavese approvò.
Il titolo del libro era all’inizio Vita di mia nonna, poi mutato felicissimamente in quello definitivo. La Morante stessa diceva : “Le due parole del titolo riassumono, in certo modo, le vicende di questo romanzo : dove il contrasto fra la cronaca quotidiana e i mondi favolosi dell’immaginazione porta quasi tutti i personaggi a una conclusione tragica”.
Il 15 agosto Menzogna e sortilegio vinceva il Viareggio. Elsa andò a ritirare il premio accompagnata da Natalia Ginzburg.
La vittoria al premio Viareggio proiettò lei e Menzogna e sortilegio alla ribalta. Ci fu rumore, nacque un caso. In pieno neoralismo un racconto fantastico di 700 pagine lasciò i critici interdetti.
Nove anni dopo, nel febbraio 1957, la Morante pubblicò il romanzo L’isola di Arturo, ancora da Einaudi, ancora vincitore di uno dei maggiori premi italiani, lo Strega.
Questa volta la lode fu unanime e il successo immediato.
Giacomo Debenedetti consacrò libro e autrice in un famoso articolo, apparso sul n. 26, maggio-giugno 1957, di ‘Nuovi Argomenti’, forse massima rivista critica del tempo.
Ci furono grandi viaggi in Russia, in Cina, negli Stati Uniti, in Sud America, in India.
Conobbe Bill Morrow, giovane pittore americano, grande nuovo amore, finito tragicamente. Si divise da Moravia.
Quattro anni per La Storia, iniziato nel 1971 e uscito nell'estate 1974.
Elsa Morante morì d’infarto il 25 novembre 1985, dopo quattro anni di malattia.

_________________________________________________

Elsa Morante, La storia, Torino, Einaudi, 1974
Alla Storia, romanzo pubblicato direttamente in edizione economica nel 1974 e ambientato a Roma durante e dopo l'ultima guerra (1941-47), Elsa Morante ha consegnato la massima esperienza della sua vita



GLI EXERGO e L'INCIPIT


Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte. 
(Un sopravvissuto di Hiroshima)

...hai nascosto queste cose ai dotti e ai savi e le hai rivelate ai piccoli ... perché cosí a te piacque.
(Luca, X - 21)

Por el analfabeto a  quen escribo 

Il  brano selezionato per la simulazione di prima prova di Esame di Stato 2019 (Tipologia A, qui con le domande)
Una di quelle mattine Ida, con due grosse sporte al braccio, tornava dalla spesa tenendo per mano Useppe. (…)
Uscivano dal viale alberato non lontano dallo Scalo Merci, dirigendosi in via dei Volsci, quando, non preavvisato da nessun allarme, si udì avanzare nel cielo un clamore d’orchestra metallico e ronzante. Useppe levò gli occhi in alto, e disse: “Lioplani”[1]. E in quel momento l’aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti i muri precipitavano alle loro spalle e il terreno saltava d’intorno a loro, sminuzzato in una mitraglia di frammenti.
“Useppe! Useppee,.!” urlò Ida, sbattuta in un ciclone nero e polveroso che impediva la vista: “Mà sto qui”, le rispose all’altezza del suo braccio, la vocina di lui, quasi rassicurante. Essa lo prese in collo[2] (…)
Intanto, era cominciato il suono delle sirene. Essa, nella sua corsa, sentì che scivolava verso il basso, come avesse i pattini, su un terreno rimosso che pareva arato, e che fumava. Verso il fondo, essa cadde a sedere, con Useppe stretto fra le braccia. Nella caduta, dalle sporta le si era riversato il suo carico di ortaggi, fra i quali, sparsi ai suoi piedi, splendevano i colori dei peperoni, verde, arancione e rosso vivo.
Con una mano, essa si aggrappò a una radice schiantata, ancora coperta di terriccio in frantumi, che sporgeva verso di lei. E assestandosi meglio, rannicchiata intorno a Useppe, prese a palparlo febbrilmente in tutto il corpo, per assicurarsi ch’era incolume[3]. Poi gli sistemò sulla testolina la sporta vuota come un elmo di protezione. (…) Useppe, accucciato contro di lei, la guardava in faccia, di sotto la sporta, non impaurito, ma piuttosto curioso e soprapensiero. “Non è niente”, essa gli disse, “Non aver paura. Non è niente”. Lui aveva perduto i sandaletti ma teneva ancora la sua pallina stretta nel pugno. Agli schianti più forti, lo si sentiva appena tremare:
“Nente…” diceva poi, fra persuaso e interrogativo.
I suoi piedini nudi si bilanciavano quieti accosto[4] a Ida, uno di qua e uno di là. Per tutto il tempo che aspettarono in quel riparo, i suoi occhi e quelli di Ida rimasero, intenti, a guardarsi. Lei non avrebbe saputo dire la durata di quel tempo. Il suo orologetto da polso si era rotto; e ci sono delle circostanze in cui, per la mente, calcolare una durata è impossibile.
Al cessato allarme, nell’affacciarsi fuori di là, si ritrovarono dentro una immensa nube pulverulenta[5] che nascondeva il sole, e faceva tossire col suo sapore di catrame: attraverso questa nube, si vedevano fiamme e fumo nero dalla parte dello Scalo Merci. (…)
La vocina di Useppe ripeteva a Ida una domanda incomprensibile, in cui le pareva di riconoscere la parola casa: “Mà, quando torniamo a casa?”. La sporta gli calava sugli occhietti, e lui fremeva, adesso, in una impazienza feroce. Pareva fissato in una preoccupazione che non voleva enunciare, neanche a se stesso “mà?….casa?…” seguitava ostinata la sua vocina. Ma era difficile riconoscere le strade familiari. Finalmente, di là da un casamento semidistrutto, da cui pendevano travi e le persiane divelte[6], fra il solito polverone di rovina, Ida ravvisò[7], intatto, il casamento[8] con l’osteria, dove andavano a rifugiarsi le notti degli allarmi. Qui Useppe prese a dibattersi con tanta frenesia che riuscì a svincolarsi dalle sue braccia e a scendere in terra. E correndo coi suoi piedini nudi verso una nube più densa di polverone, incominciò a gridare:
“Bii! Biii! Biiii!” [9]
Il loro caseggiato era distrutto (…)
Dabbasso delle figure urlanti o ammutolite si aggiravano fra i lastroni di cemento, i mobili sconquassati, i cumuli di rottami e di immondezze. Nessun lamento ne saliva, là sotto dovevano essere tutti morti. Ma certune di quelle figure, sotto l’azione di un meccanismo idiota, andavano frugando o raspando con le unghie fra quei cumuli, alla ricerca di qualcuno o qualcosa da recuperare. E in mezzo a tutto questo, la vocina di Useppe continuava a chiamare:
“Bii! Biii! Biiii!”

Romanzo ampio  centrato su fatti storici visti però dal basso, a livello dei deboli, degli inermi, come il bambino Useppe.  Il meccanismo del punto di vista che trasforma la narrazione è particolarmente interessante ed è esercitabile in una richiesta di scrittura con trasformazione del punto di vista.
E’ inoltre utile  discutere della presenza della storia nella letteratura, in particolare non della storia lontana come aveva fatto il romanzo storico ottocentesco, ma della storia pressochè contemporanea.  Romanzo come documento?  Quali elementi peculiari della nostra storia la letteratura può restituirci?  Può ampliare l’orizzonte una ricerca sui romanzi realistici- a partire dal Calvino del Sentiero di nidi di ragno e di tutta la letteratura sulla resistenza e le guerre- fino a 54 dei Wu Ming 

[1] Lioplani: sta per areoplani nel linguaggio del bambino
[2] in collo: in braccio
[3] incolume: non ferito
[4] accosto: accanto
[5] pulvurulenta: piena di polvere
[6] divelte: strappate via
[7] ravvisò: cominciò a vedere, a riconoscere
[8] il casamento: il palazzo, il caseggiato
[9] Bii: era il nome del cane
___________________________________________

Il dibattito su "La Storia" (a cura di Graziella Bernabò )

E decisamente inquietante rileggere oggi le recensioni del 1974 su la Storia. Non solo perché, intorno a questo romanzo, sorse un vero e proprio "caso" letterario: in fondo qualcosa di simile era già accaduto in precedenza per Metello di Pratolini e per Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Al di là della comprensibile divergenza delle posizioni critiche, ciò che più risalta attualmente è la profonda ingiustizia consumata in quell'occasione da ampi settori del mondo culturale italiano - con giudizi tanto distruttivi quanto superficiali- nei confronti di una scrittrice come Elsa Morante, indifferente da sempre alle sirene del mercato letterario e abituata a lavorare scrupolosamente per molti anni su ognuno dei propri libri, in un'avventura completa e totalizzante che la coinvolgeva anima e corpo, fino a risultati ogni volta assolutamente inediti.  Appaiono assurde certe stroncature dettate da una lettura frettolosa dell'opera, un romanzo che traeva la sua forza dirompente proprio dal fatto di essere estraneo - per la sua ricchezza di struttura e di linguaggio, e per una sua interna "provocatorietà"- a qualunque schema, politico o letterario, che pretendesse di rinchiudere la realtà - nella sua multiforme bellezza come nei suoi risvolti più tragici-, e la sua rappresentazione poetica, in qualche formula ideologicamente accettabile. Purtroppo la "Storia" con la "S" maiuscola è continuata in questi ultimi decenni nei medesimi termini tragici messi in evidenza da Elsa Morante; ed ecco che allora rileggere il romanzo con rinnovata attenzione, riflettendo seriamente sul dibattito critico da esso suscitato, può essere l'occasione non solo per recuperare il senso di una scrittura sconfinata, travolgente e di grandissima originalità, ma anche per una meditazione non addomesticata sulla realtà del Novecento e, più ampiamente, del nostro tempo.

Natalia Ginzburg, I personaggi di Elsa, in "Corriere" della Sera", 21 luglio 1974. p. 12---
 La Storia è un romanzo scritto per gli altri. Ora, da moltissimi anni, l'idea di un romanzo scritto per gli altri sembrava volata via dalla terra. l'idea degli altri, da moltissimi anni, è un'idea che genera angoscia, perché gli altri appaiono irraggiungibili. Nei poeti, come Kafka o Beckett, la sterminata lontananza degli altri e l'angoscia diventano un grande universo notturno, nel quale l'uomo riconosce se stesso. Ma quando sono assenti la poesia e la grandezza, ciò che resta è uno squallore sterile, fatuo e triste. Da moltissimi anni, i romanzieri scrivono unicamente per sé. Scrivono per essere meno tristi, meno angosciati, meno soli. 
(.. ) Come romanziera ho trovato straordinaria nella Storia l'assoluta assenza di quelli che sono oggi, nei romanzieri, i vizi dello spirito. Assente il ribrezzo. assente la vanagloria, assente la preoccupazione della propria miseria, dell'angustia dei propri confini.( ... ) La Storia è un romanzo scritto in terza persona. Un romanziere, oggi, della terza persona, ha paura come di una tigre. Egli sa che nella terza persona, nell'egli, si nasconde ogni specie di pericolo. Scrivendo "io" si sente assai più sicuro, perché tutti i suoi limiti sono subito denunciati.
Nella Storia l'io narrante esiste, ma si affaccia solo ogni tanto. e nello spazio di poche righe. l'io narrante è però, nella Storia, importantissimo, e non denuncia dei limiti, ma è invece il punto da cui viene contemplato il mondo. È un punto insieme altissimo e sotterraneo, dotato di uno sguardo che vede l'infinita estensione degli orizzonti e le infinite e minime rughe e crepe del suolo. Tale sguardo non conosce limiti, né in estensione, né in profondità. Sceglie e raggiunge alcune fra le più sperdute ere  della terra. segue il corso del loro destino e ne illumina la qualità misteriosa. In un simile sguardo, la felicità e la sventura, la vita e la morte, risplendono di luce diversa, ma è sempre luce. la tenebra non è nella morte, ma nei poteri occulti della "Storia", che decretano la morte e la sventura degli umili, gli stermini e le stragi. la sventura non rappresenta, nei confronti della felicità, un crollo nella notte, ma piuttosto un'esplosione di luce ancora più abbagliante, così abbagliante che non riescono a reggerla né lo sguardo, né il cuore. la morte del cane Blitz, la partenza dei Mille dallo stanzone, la morte di Ninnuzzu, le parole ingiuriose di Davide al bambino Useppe ("Vattene, brutto idiota, col tuo cagnaccio!") hanno gli accordi strazianti della sventura ma non annientano gli accordi melodiosi della felicità, non ne spengono la gloria indistruttibile e immortale. la sventura, la malattia, la pazzia, la morte, sono offese orrende contro la felicità, l'infanzia e la vita, e tuttavia sono, nei confronti della felicità, dell'infanzia e della vita, in condizioni di parità. ( ... ) Quelli che hanno detto che La Storia ha parentele con il neo-realismo, si sono sbagliati. Il neo-realismo vedeva la seconda guerra mondiale, e Roma in quegli anni, e la borsa nera, e le deportazioni degli ebrei, e il dopo-guerra, da vicino e però in piccolo, su uno sfondo dai contorni duri e precisi, suggellati da rozze speranze. Qui, le medesime cose sono viste in una dimensione immensa e confusa, in profondità e nello stesso tempo come da lontananze sterminate, e non ci sono più tracce di quelle stesse rozze speranze. la voce che racconta, nella Storia, è la voce di chi ha attraversato i deserti della disperazione. È la voce di chi sa che le guerre non hanno mai fine, e che saranno sempre deportati gli ebrei, o altri per loro.
Quelli che hanno detto che i personaggi della Storia ci sono già stati in Moravia o in Pasolini,  si sono sbagliati, perché hanno scambiato per rassomiglianze delle identità di ambiente sociale o di costume, identità che non hanno, nei lineamenti reali d'un personaggio, nessuna importanza reale. In verità i personaggi della Storia non erano mai esistiti prima. Essi sono inseparabili l'uno dall'altro, e inseparabili dai loro destini, così come non si può pensare un grande quadro senza ogni suo minimo dettaglio e ogni suo minimo colore. Essi sono tutti, siano situati in primo piano o in secondo piano, egualmente essenziali. Ma il fatto nuovo, nella Storia, è che i personaggi non sono, fra loro, eguali ed essenziali e inseparabili soltanto perché dotati tutti d'una medesima vita poetica, ma anche perché sono tutti pensati in condizioni di parità. ( ... )

Pier Paolo Pasolini, La gioia della vita, la violenza della Storia, in "Tempo", 26 luglio 197 4. pp. 77-78;  Un'idea troppo fragile nel mare sconfinato della storia, "Tempo", 2 agosto 197 4. pp. 75·76 .
( ... ) non c'è dubbio che il grosso libro si divide almeno in tre libri magmaticamente fusi tra loro: il primo di questi libri è bellissimo- è straordinariamente bello- basti dire che mi è capitato di leggerlo nel bel mezzo di una rilettura dei Fratelli Karamazov e che reggeva mirabilmente il confronto. Il secondo libro invece è completamente mancato, non è altro che un ammasso di informazioni sovrapposte disordinatamente, quasi, si direbbe, senza pensarci sopra; il terzo libro è bello, benché molto discontinuo e con molte ricadute nella confusione un po' presuntuosa del libro di mezzo. Nel primo libro si narra la storia dei padri, visti addirittura come antenati; l'azione è in un altrove (la Calabria) che corrisponde alla dislocazione del tempo della narrazione in un periodo "anteriore", già completamente elaborato e quindi cristallizzato dalla morte. Quivi gli avi vivono circostanze e azioni perfettamente essenziali, poetizzate già dal fatto di a p parte n e re al passato: possono quindi cadere sotto il completo dominio dell'autrice che ha la ventura di essere in vita e di conoscerle. Sia il ramo calabrese (il padre Ramundo) che il ramo ebreo la madre Almagià), con la loro cerchia, occupano spazi e tempi perfetti. La loro morte non è ideologica, se non in quanto appartenente al mito. Essa consente dunque alla loro vita, finita, di essere totalmente espressa: di essere quella e non altra. ( ... )

Il secondo libro va dalla nascita del bastardello, al bombardamento di San Lorenzo, allo sfollamento di Ida e del cucciolo Useppe nella casermetta di Pietra lata, alla resistenza anarchico-comunista (alla spagnola), in cui si fa luce il figlio, diciamo così di primo letto di Ida, Ninnarieddo, insieme con un altro protagonista del libro, Davide Segre, ebreo. (Nella casermetta di Pietralata si ammassano però molti personaggi le cui storie danno al racconto un carattere corate, esteriormente neorealistico). La guerra finisce, Ida si trasferisce a Testaccio, dove compare e riscompare l'altro figlio grande, il seduttore (teppista, ex fascista, ex comunista, ex anarchico, borsaro nero, rivoluzionario - un po' retrodatato, per la verità, come il suo amico Davide).
L'ultimo libro è "Il libro delle morti". La guerra è finita, ma tutti i personaggi muoiono dopo.( ... ) L'insieme del romanzo si configura come un confronto tra la vita e la Storia: tra un capitolo e l'altro del romanzo (concepito ad annali) ci sono infatti brevi inserti che riassumono gli avvenimenti storici oggettivi - con stile da manuale- dal 1941 al 1947. Nel "primo libro" questa è una trovata, diciamo "strutturale", straordinaria, Perché? Perché la vita che si oppone atta Storia è una vita di morti, e quindi una vita non esaltata e strumentalizzata in quanto tale. C'è una reale incompatibilità tra essa e la Storia. L'opposizione non può essere dialettica: e quindi non rischia di essere ideologica e velleitaria. Le cose stanno così e basta: il confronto tra la vita dei morti e la Storia produce stupendi effetti allucinatori (come il grande "adagio" della morte della madre di Ida). Poi questo "effetto" della contrapposizione della vita atta storia, di colpo si perde e scade. Tale degradazione del testo coincide con la nascita del piccolo Useppe: cioè col formarsi di una vita "esaltata e strumentalizzata in quanto tale": perché è con Useppe che comincia la lunga celebrazione morantiana della vitalità, dell'innocenza, della joie de vivre dei poveri di spirito.( ... )  Veniamo così esplicitamente a sapere, nel corso della lunga lettura, che la vita, proprio la vita - come vitalità pro rompente, ingenuità, dedizione totale atta illusione, corporeità - è il"Bene", mentre la storia, in quanto produttrice di morte, è il"Male". È un'idea come un'altra. Giusta, fin troppo giusta.


GLI ELEMENTI MANZONIANI NE LA STORIA DI ELSA  MORANTE  (Angela Simonut)
__________________________________________________

ELSA MORANTE – PRO O CONTRO LA BOMBA ATOMICA

In questo libro, tratto da una conferenza che l’autrice tenne presso il Teatro Carignano di Torino nel 1965, Elsa Morante illustra il problema principale che affligge la nostra società moderna: l’istinto autodistruttivo, quello stesso istinto che ci ha portati alla scoperta della bomba atomica e che oggi ci fa assumere il nome di civiltà atomica.
La scrittrice si interroga sul perché questa scoperta sia avvenuta solo di recente, poiché a parer suo la civiltà umana ha sempre provato il desiderio di autodistruggersi fin dalla sua nascita. Inoltre non giustifica questa scoperta come se fosse avvenuta casualmente: tutto per lei ha una spiegazione, anche ciò che ci sembra causa del semplice fato, del caso. L’unico elemento che può combattere questo pazzo istinto di autodistruzione è l’arte, intesa come poesia, che vede nello scrittore la sua massima espressione.
Lo scrittore per sua indole è capace di andare contro la massa e, per amore di questa, dopo innumerevoli tentativi riuscirà a reprimere quell’istinto autodistruttivo che la guida, mostrandole l’irrealtà che la circonda. L’unico elemento reale, o che almeno ritrae ciò che è reale, è proprio l’arte, la poesia, il cui artefice è il poeta, lo scrittore; questi avrà il compito di apparire come uno specchio alla massa per mostrarle la sua irrealtà mettendola a paragone con l’arte, che ha quindi la capacità di racchiudere il ritratto della realtà.
Nella narrazione poi, Elsa Morante ci comunica addirittura il suo timore nell’esprimersi pro o contro la bomba atomica: dice infatti che anche uno scrittore, un poeta si può trovare a dubitare di se stesso e del suo ruolo, non essendo sicuro dunque della sua missione, magari assuefacendosi a quell’istinto suicida e autodistruttivo che guida il resto dell’umanità. Solo personaggi veramente forti e sicuri di sé possono assumere delle posizioni su questo tema; Elsa Morante però ci dice di stare attenti a coloro che si definiscono scrittori, che si pongono contro la bomba atomica e che sono invece i primi sostenitori di questa e del regime che ce la impone.
Per spiegarci meglio cosa intendesse per scrittore, l’autrice ci parla di Miklòs Radnòti, un giovane poeta ebreo dell’Ungheria, vissuto al tempo dell’inaugurazione dei lager in Europa. Questi fu tra il primo ad essere preso e passò il resto della sua breve vita in un lager, il modello ideale e supremo della città nel sistema della disintegrazione4. La sua poesia è ridotta allo spettrale, al lager: Scrivo i miei versi al buio…Ora la morte è un fiore di pazienza5. Elsa Morante dice a proposito di questo poeta: Così ci è rimasta la prova che pure dentro la macchina perfetta della disintegrazione, che lo annientava fisicamente, la sua coscienza reale rimaneva integra6. Ecco quindi ciò che la scrittrice intende per poeta, per artista: un eroe capace di combattere di notte contro il drago malvagio che ha invaso la città e che turba tutti coloro che vivono lì. Lo scrittore, che è l’eroe, si illude di avere il consenso dei cittadini, e magari di ricevere aiuto da parte di questi; è proprio quest’illusione che probabilmente lo fa muovere contro il drago, affrontandolo addirittura di notte.



POSSIBILE ATTUALIZZAZIONE sul nucleare 
TRATTATO PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI. La notizia è di quelle che fanno veramente pensare al futuro.  Il Trattato  per la messa al bando generale e completo delle armi nucleari (altro è il Trattato di Non proliferazione armi nucleari)  era stato approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU, senza la partecipazione delle potenze nucleari, il 7 luglio 2017  e sottoposto alla ratifica degli Stati membri. 
Per entrare in vigore occorrevano almeno 50 Stati. La cinquantesima ratifica (Honduras) è arrivata il 24 ottobre us. Il Trattato sarà efficace tra tre mesi, il 22 gennaio 2021.
Il Trattato impegna giuridicamente i paesi firmatari, che non possiedono armi nucleari. Sarebbe dunque irrealistico ed inutile? 
I Paesi possessori legali di armi nucleari – cioè che rispettano il Trattato di non proliferazione (Tnp) – sono cinque: Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina. Ci sono poi i possessori dichiarati:  India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Contrari alla messa al bando gli Stati Uniti, che sostengono la teoria della deterrenza, la minaccia di distruzione totale del nemico per prevenirne un attacco nucleare. Il Trattato per la proibizione delle armi nucleari sarebbe dunque controproducente? 
Perché i calcoli teorici della deterrenza funzionino, i Paesi nucleari dovrebbero essere sempre pronti al lancio, con costi e sprechi enormi di risorse, oltre  che essere guidati da leader “razionali” e  sostenuti da democrazie funzionanti. 
Di fronte alle profonde difficoltà della democrazia americana manifestate nelle recenti elezioni presidenziali, di fronte al multilateralismo bellicoso (tra attori globali e attori regionali) che vorrebbe sostituire la supremazia americana, quanto i nostri futuri potranno ancora convivere con uno stato di terrore latente? Quanto potranno ancora sopportare i costi degli arsenali nucleari, di fronte alle diverse crisi economiche e alla emergenze sanitarie ed ambientali? 
L’Italia, che ospita le armi nucleari della Missione Nato, non ha aderito al Trattato per la loro proibizione e tuttavia vive obiettivamente “ai margini”  dei diversi confronti mondiali. Per gli italiani e anche tanti europei che “sono spontaneamente in pace con tutti”, il Trattato può dunque diventare una occasione di seria e importante discussione, da  condividere con la nostra casa comune europea. 
___________________________________________

UNA RIFLESSIONE SUL ROMANZO STORICO OGGI


WU MING 2   Utile per iscopo? La funzione del romanzo storico in una società di retromaniaci, Guaraldi 2014     RECENSIONE



GLI ALTRI VERSANTI DI ELSA MORANTE

Vedi il ricco volume LE FONTI IN ELSA MORANTE
"La mia intenzione di fare la scrittrice nacque, si può dire, insieme a me; e fu attraverso i miei primi tentativi letterari che imparai, in casa, l‟alfabeto. Nello scrivere mi rivolgevo, naturalmente, alle persone mie simili: e perciò, fino all‟età di quindici anni circa, scrissi esclusivamente favole e poesie per bambini. Alcuni di quegli scritti vennero pubblicati (e pagati) in quella stessa epoca. Altri invece rimasero inediti. Uno, poi, Le avventure di Caterina, è stato pubblicato postumo (per così dire) dall‟editore Einaudi, nel 1942; e ripubblicato di recente, nel 1959. Dopo i quindici anni incominciai a scrivere poesie e racconti per adulti."

Si veda  il ricco articolo di Giovanna Zaccaro

https://www.uniba.it/docenti/zaccaro-giovanna/materiale-didattico-3/at_download/file 

3 novembre 1939: IL MONDO MARTE E' CASCATO  foto


_____________________________________________________

IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI
Dalla prefazione di Goffredo Fofi (la Repubblica, 14.07.2012)

Nelle poesie, nei poemetti di Il mondo salvato dai ragazzini c’è la Morante dei romanzi già scritti, in particolare L’isola di Arturo, e di quelli ancora da scrivere, La Storia e Aracoeli, anche se a una prima lettura questi tre titoli sembrano così distanti e diversi tra loro. Il mondo salvato dai ragazzini è una sintesi sorprendente, comprensibile solo a distanza.

Quando il libro uscì, nei primi mesi del ’68, non se ne comprese appieno l’ampiezza, la novità. Si era nel vivo di un movimento che in qualche modo era stato annunciato e invocato molti mesi prima dalla pubblicazione su «Nuovi Argomenti» della Canzone degli F. P. e degli I. M., letta con la dovuta attenzione da pochi, e tra questi dai collaboratori dei «Quaderni piacentini» su sollecitazione dello psicoanalista libertario Elvio Fachinelli

[...] Non era prevedibile, il nostro ’68, quando Elsa scrisse la Canzone, nonostante le anticipazioni statunitensi. Ma era come se la Canzone lo prevedesse, fosse stata scritta con quella convinzione, e avesse eletto i suoi lettori tra coloro che, nelle università ma non solo, si sperava giungessero a ribellarsi.

E Il mondo salvato dai ragazzini diventò dunque, volendolo essere, una voce nel deserto ma che si rivolgeva a lettori specifici, ai «ragazzini» delle ultime grandi rivolte possibili, ben oltre quelle della classe operaia dei gruppi e partiti marxisti passati e futuri.

Alle definizioni del libro che Elsa Morante volle elencare nella quarta di copertina - «È un manifesto. È un memoriale. È un saggio filosofico. È un romanzo. È un’autobiografia. È un dialogo. È una tragedia. È una commedia. È un documentario a colori. È un fumetto. È una chiave magica. È un testamento. È una poesia» -, e che ci sembrano oggi tutte adeguate, ne mancavano forse due più prosaiche e banali: È un comizio, È una predica. Sembrano insulti e non lo sono, se appena si rende alle parole il loro significato più profondo: di invito (orazione) e di monito (spiegazione).

Non si può comprendere appieno il valore di questo libro nella sua complessità e varietà e nel compendio che propone, se non si tiene conto della sua aspirazione a incidere nella realtà con i mezzi della poesia attraverso i lettori potenzialmente più ricettivi di tutti, i giovani, i nuovi. Ed è infine questo il risultato più ardito a cui la poesia abbia mai potuto aspirare.

Veggente come l’amato Rimbaud (si conosce una piccola incisione moderna del volto di Rimbaud su cui la Morante ha scritto una dedica paradossale: «A Elsa, Arthur») e in quanto tale anche profeta: annunciatrice, suscitatrice.

La funzione del poeta è, nella visione della Morante, la più alta possibile, è quella di chi deve mettere in guardia i lettori (il mondo) dai pericoli che covano al suo interno - il maggiore tra tutti quello dell’irrealtà -, ricordandogli la bellezza del vero, della realtà.

Veggente sì, ma veggente, se così si può dire, armata, poiché è suo compito anche quello, da rendere il più possibile concreto, di affrontare «il drago notturno, per liberare la città atterrita». Sono pochi i poeti che, nei turbamenti e nelle tempeste del Novecento, hanno osato chiedere così tanto alla poesia: un’ambizione smisurata, che La Storia reitera reinventando il grande romanzo dell’Ottocento, e che non poteva non andare incontro alla dichiarazione di sconfitta, già cento volte intuita, narrata più tardi in Aracoeli. Poiché «fuori del Limbo non v’è Eliso».

La Nota introduttiva alla prima edizione economica del libro, nel 1971, è assolutamente chiara nella definizione del progetto morantiano di poesia come politica e come religione. Pochi scrittori hanno osato assumersi un compito così arduo, scomodo e pesante, e pochi hanno chiesto così tanto alla poesia.

Quando l’hanno fatto è stato in epoche di massima trasformazione, in epoche rivoluzionarie, quando lo scontro con il potere è stato più grave. E potremmo, di conseguenza e senza forzar troppo, considerare Il mondo salvato dai ragazzini come il documento più alto del ’68 e dei suoi dintorni - insieme a Lettera a una professoressa dei ragazzi di Barbiana.

Però con una profondità più radicale e in una luce assai più intensa, poiché la Morante sapeva vedere più indietro e più avanti; sapeva vedere oltre senza rinunciare a una leggibile precisione, a riferimenti comprensibili, senza mai dimenticare che bisogna parlare a tutti, ai ragazzini come alle professoresse, e soprattutto agli «analfabeti» della bellissima citazione da César Vallejo «por el analfabeto a quien escribo», che apre La Storia e che chiude, annunciando quella fatica, la prefazione del ’71 al Mondo salvato dai ragazzini.

Questi due libri, che andrebbero letti insieme al saggio Pro o contro la bomba atomica, sono bensì libri di speranza e non di disperazione, di apertura e non di chiusura, ed è forse per questo, per il radicamento nel proprio tempo, per il dialogo forte col proprio tempo e per la scelta di lettori non abituali - gli studenti, «gli analfabeti» - che essi hanno faticato a venire accettati, non dai lettori - pochi per il primo, tanti per il secondo - ma dagli «alfabetizzati» per definizione: gli intellettuali letterati e critici e artisti suoi contemporanei (con le debite eccezioni in coloro che sapevano capire, e cioè nei grandi poeti dalle visioni più larghe: c’è stato infatti un tempo, ancora molto vicino a noi ma che oggi ci appare lontanissimo, in cui c’era ancora chi sapeva ascoltare per tradurla nella nostra povera lingua la felliniana - leopardiana - «voce della luna»).

Forse il rapporto da indagare con più attenzione, se qualcuno vorrà mai farlo, è quello tra Elsa e Pasolini, amici-e-lontani perché al tempo della rivolta dei «ragazzini » fu assai diverso il loro modo di reagire alla novità che quei ragazzini portavano.

E se ognuno deve qualcosa all’altro, è pur vero che tra il «pazzariello» ideale della Morante e il «pazzariello » ideale di Pasolini la distanza è assai grande. Dietro quello morantiano c’è pur sempre l’Arthur/Arturo/Artú dell’Isola e c’è la sconfitta del suo sogno di avventura liberatoria o semplicemente di un’età adulta da «eroe» in grado di controllare il proprio destino che, nel Mondo, è quella di Edipo, folgorato dalla conoscenza e dalla sofferenza che ne consegue e che sarà più tardi quella, ancor più cupa, di Aracoeli.

Dietro il «pazzariello » pasoliniano (che nei film, e si pensa soprattutto all’episodio più ardito ed esemplare, quello del Fiore di carta, ha i tratti di Ninetto Davoli) c’è una materialità che contrappone alla Storia la Natura, la cui spontanea bellezza è uccisa dalla concretezza di una trasformazione economica e di un’evoluzione sociale piuttosto che dal metafisico cozzo dell’esperienza con la vita, dalla comprensione dell’inguaribile povertà della propria condizione - dell’umana condizione. (...) 

C’è un breve testo postumo di Elsa Morante che risale agli anni in cui il movimento dei «ragazzini » andava perdendosi in interne diatribe e nel ritorno a una visione della politica di stampo partitico e leninista, verticistico e autoritario, ancora una volta ragionando soltanto in funzione della «presa del potere». È il Piccolo manifesto dei comunisti (senza classe né partito), che sembra una spiegazione o un’aggiunta didascalica ai temi più immediati del Mondo: la rivoluzione è una «assoluta necessità», ma il suo compito è «liberare tutti gli uomini dal Potere affinché il loro spirito sia libero».

L’esercizio del potere è un vizio degradante, un vizio che rende ciechi alla realtà: questa la persuasione che avrebbe dovuto fare della rivolta dei ragazzini una svolta, mentre così non è stato. È per ricordarlo un’ultima volta, che Elsa ha scritto La Storia, un romanzo dal titolo così ambizioso, e tuttavia così leggibile, accessibile, il cui scopo è mettere in guardia da quanto la Storia da sempre riserva agli umani, poiché padroni ne diventano coloro che ambiscono al Potere e fanno di tutto per averlo.

Se anche i giovani, se anche il ’68 rischiano di lasciarsi trascinare da questa abituale deriva, il romanzo La Storia sarà per Elsa l’ultimo appello, l’ultimo memento. (...) Quando Elsa scrive Aracoeli, la sua speranza nell’anti-potere della poesia come religione e politica, come filosofia, è ormai morta: ciò che aveva temuto è accaduto, anche da quest’ultimo scontro con il drago dell’irrealtà ella è uscita sconfitta. Come i suoi amati Felici Pochi, nel cui elenco noi possiamo includerla senza paura di sbagliare. E il problema non è la sua sconfitta, ma quella, ancora una volta, del mondo.


Ah, Dottori Dottori! alla vostra età!
Ma perché, perché, mai

p e r c h é
signori Dottori I(nfelici) M(olti) dell’Universo
con tutto che vi addottorate e vi baccalaureate
e vi improfessorate nelle Università
e la storia e la geografia studiate viaggiate vi scafate, le macchine fabbricate
sviscerate la scienza
inventate l’atomica e il volo lunare
però questa primaria lezione dell’esperienza
ancora non la volete imparare?

Ve lo ripeto, o Signori I.M., non c’è verso:
con i F(elici) P(ochi) non ce la potrete mai spuntare.
Quelli conoscono il volo da prima assai dell’aviazione conoscono
la medicina che guarisce tutti i mali da prima assai
della penicillina quelli sanno la resurrezione
dai morti!
Non illudetevi di poterli eliminare.
Magari vi credete d’averli mangiati quando invece sul più bello del vostro banchetto
rieccoli che tornano a zompare
sui vostri piatti.

Quelli sono incredibili inconcepibili inammissibili sono tutti matti.
E non cullatevi nella speranza di poterli r i e d u c a r e
indi paternamente legittimare.

(…)

Sappiàtelo, o padri meschini I(nfelici) M(olti) d’ogni paese:
se ancora il corpo offeso dei viventi resiste
in questo vostro mondo di sangue e di denti
è perché passano sempre quelle poche voci illese
con le loro allegre notizie.
Contro le vostre milizie sevizie immondizie
imprese spese carriere polveriere bandiere
istanze finanze glorie vittorie sciarpe littorie & sedie gestatorie
contro la vostra sana ideologia la vostra brava polizia
ghepeù ghestapò fbi min-cul-pop ovra rapp & compagnia
e tutta la vostra mortuaria litania
ci vale solo quell’unica eterna scaramanzia:

l’allegria
dei F(elici) P(ochi)

Come vannio i Vostri Reali E i Presidenti E i Generali
E i Rendimenti gli Emolumenti? Siete contenti dei Vostri Affari?
In Famiglia tutto bene? La Signora si mantiene?
E la Bomba come va? La più bella chi ce l’ha?
La Mammà dei Capitali o il Papà dei Proletari?
Bravi bravi complimenti. Siete sempre Regolari.
Troppo uguali. Troppo uguali. Troppo tristi e troppo uguali
troppo uguali e troppo tristi. Troppo tristi troppo tristi
tristi TRISTI. Non vi viene mai lo sfizio d’essere meno tristi?

Comunque, se vi piace la tristizia, godetevela voi la vostra.
Questa terra non è mica roba vostra. E’ da secoli e da millenni
che noi cerchiamo di farvelo capire.
Mamma nostra non ci ha mica fatto per servire agli usi vostri.
Mica ci ha fatto gli occhi per guardare le tristi facce vostre.
Mica ci ha fatto gli orecchi per ascoltare le tristi chiacchiere vostre.
La vostra guerra non è la nostra. Noi siamo per l’allegria
e la grazia, ossia
la felicità.

.......

_____________________________________

Incompiuta e non pubblicata Lettera alle Brigate rosse, scritta dalla Morante in occasione del sequestro di Aldo Moro (marzo 1978): «[…] (rimosso l’orrore che per mia natura di fronte a ogni violenza mi farebbe ammutolire) io mi sforzo di non dubitare, almeno, […] che voi

siate davvero, ai vostri propri occhi, dei rivoluzionari. Confesso che dato l’uso che ne è stato fatto nella storia a tutt’oggi, mi ripugna ormai di ripetere la parola rivoluzione (e fin di pronunciarla). Però questa parola, per quanto stuprata e tradita, in se stessa mantiene il suo significato primo e autentico: di grande azione popolare al fine di instaurare una società più degna. Ora, su questa chiara definizione, sono state sventolate troppe bandiere equivoche»

__________________________________________________

Archivio storico della nuova sinistra Marco Pezzi 

__________________________________________________________________

L'ISOLA DI ARTURO  

Lettura condivisa nelle scuole italiane e podcast  a cura del Salone del libro di Torino. 

https://www.salonelibro.it/news/dal-salone-mobile/il-salone-presenta-elsa-morante.html




Nessun commento: